Ultimo film nella lunghissima carriera di Michael Curtiz - che esordì alla fine degli anni Venti e, fino alle porte degli anni sessanta, regalò titoli come Robin Hood, Casablanca, Bianco Natale, Sinuhe l’egiziano, Non siamo angeli – I Comancheros vede John Wayne a suo agio nel ruolo del cavaliere indomabile del West. Una stella da ranger sul petto, una missione impegnativa per il marcantonio dal piglio rude: scoprire chi è il responsabile di una rivolta indiana. C’è infatti una gang fuorilegge, chiamata “I Comancheros”, che si arricchisce vendendo armi ai pellerossa. Il ranger Jake Cutter (Wayne, per l’appunto) risponde esattamente al suo cognome: è tagliato tutto d’un pezzo e risolve i problemi tagliando nodi gordiani, a suon di piombo. È sempre pronto, però, siccome non è uno stupido, a rivedere le proprie regole: ad esempio, se il giocatore d’azzardo e avventuriero Paul Regret (Stuart Whitman), che ha debitamente sbattuto in cella, si rivela utile per la cattura della gang di cui sopra, allora non c’è nulla di male a farselo alleato. I due, insieme ad un’altra affascinante avventuriera, Pilar (Ina Balin), intrigata dal baro, si butteranno nell’impresa di imporre la legge. Chi l’avrebbe mai detto che una strana combriccola del genere… eppure nel Selvaggio West bene e male, per raggiungere la giustizia, si stringono la mano. E incrociano le colt. Da segnalare Lee Marvin nel ruolo del rissoso ceffo Crow: uno così, nella cornice del West non stona mai. Western minore, pieno zeppo di stereotipi, I Comancheros non vi cambierà la vita.