Nel 1926, un vagabondo viene sorpreso a rubare nel cimitero di Torino. Sprovvisto di documenti e di ricordi, senza identità nè conoscenze, viene ricoverato nel manicomio di Collegno. Dopo un anno di inutili cure, i medici decidono di pubblicare la fotografia dello smemorato su alcuni giornali. Si fa così avanti una famiglia borghese di Verona: quel poveretto è manifestamente il loro congiunto, il professor Giulio Canella, a suo tempo partito per la guerra e dato per disperso in Macedonia. Mentre il riconoscimento (a Collegno) è immediato ed esplicito da parte del fratello e di alcuni amici, la moglie Giulia sembra sulle prime assai esitante. Ma essa si porta con sè lo sconosciuto e con lui comincia a vivere, tentando pazientemente di ricostruire una identità di sollecitare i ricordi dell'uomo finché, poco a poco persuasa, riprende ad amarlo come un tempo. Ma un ordine di carcerazione arriva all'improvviso: un'altra famiglia, quella dei Bruneri (una moglie, un fratello, un bambino, nonché una antica amante) hanno ravvisato nell'uomo, che è sempre smarrito ed assente, la persona di Mario Bruneri, tipografo, anarchico e pregiudicato per imbrogli e furti. Comincia così da parte di Giulia Canella una autentica lotta a base di legali, confronti, testimonianze e processi, per avere il diritto di tenersi nella casa coniugale di Verona il disperso e ora ritrovato marito. L'opinione pubblica di tutta l'Italia è divisa in due veri e propri partiti, ambedue assolutamente convinti di essere nel vero. Una prima sentenza del Magistrato decide peraltro, che non si tratta nè del professore veneto, nè del tipografo torinese: le ambiguità e le incertezze, nonché la discordanza delle prove e delle testimonianze non consentono un giudizio inequivocabile. Malgrado l'incessante lotta di Giulia e mentre lo smemorato di Collegno, uscito di carcere, torna a vivere con lei, pur senza mai nulla ricordare di preciso e di determinante, l'ultimo processo si conclude con la declamatoria che quell'uomo è il pregiudicato (e simulatore) Mario Bruneri, il quale, pertanto, deve tornare in carcere. Giulia chiede ed ottiene la riapertura del processo e lo smemorato fa solo due dei quattro anni a suo carico: dopo di che i Canella si trasferiscono in Brasile, dove l'uomo muore nel 1941. Nel 1970, la Santa Sede riconobbe come di Giulio Canella i due figli da lui avuti con Giulia.