Il regista Derek Jarman, ammalato di AIDS, sta morendo: la sua voce sembra assumere il valore di una sorta di testamento spirituale e di documento del suo modo di affrontare l'ultimo tratto della sua parabola esistenziale. Rivivono in queste memorie sonore, alternate a brani di musica strumentale e vocale, l'avanzare inesorabile del male, il tormento della retina che si sta distaccando e della visione deformata, lo squallore della degenza in ospedale, le trafitture della flebo, il ricordo degli amici morti per la terribile malattia prima di lui, il tutto come immerso in questo blu, in cui galleggiano ricordi, amarezze, gioie trascorse e rimpianti del regista. Che non fa certo mistero della sua omosessualitą, ma anzi tende a proporla come una sorta di carisma. Un excursus sulla pazzia di Van Gogh lo trascina in una lunga disquisizione sul giallo, il colore preferito dal pittore suicida, confrontato con l'amato blu, che a poco a poco sembra assurgere i contorni ossessivi di una soglia iniziatica che porta nell'aldilą.